Novità editoriale

Il trattamento dell'invidia nel paziente narcisista. Un modello di lavoro. Milano: FrancoAngeli

Di Beatrice Piermartini e Antonella Liverano

Dal 29 gennaio in libreria

Il libro analizza le origini e le manifestazioni esterne dell'invidia, attingendo alla letteratura psicodinamica e proponendo un modello di lavoro di stampo analitico-transazionale. 
L'invidia è letta innanzitutto come un sentimento di dolore che, se accolto e collocato nella relazione psicoterapeutica, diviene portatore di significati personali e veicolo di crescita psichica. 




Un assaggio del libro 

Il trattamento dell’invidia nel paziente narcisista

L’invidia, figlio mio, strugge se stessa.
Giambattista Basile (1634-1636)

Introduzione
L’invidia è un’emozione piuttosto trascurata nella letteratura psicologica e, forse, talvolta, riceve poca attenzione anche nel lavoro terapeutico. Sembra essere una Cenerentola delle emozioni, poco presa in considerazione e poco esplorata nei suoi significati profondi. Di fatto, al pari di tutte le altre emozioni che cogliamo e analizziamo con i nostri pazienti, l’invidia entra nella stanza della terapia e dà forma alla relazione terapeutica. Diversamente da altri vissuti, tuttavia, è poco visibile, quasi nascosta. Raramente, infatti, assistiamo ad espressioni esplicite di invidia, più spesso siamo abituati a vederla sotto mentite spoglie, in forma di manifestazioni aggressive e distruttive, a partire dalle quali possiamo inferirne la presenza.
Rispetto alla poca visibilità dell’invidia, è interessante analizzare l’etimologia del termine e il modo in cui poeti e pensatori l’hanno descritta e rappresentata.
Nel termine latino invidere, la particella in ha valore negativo e assume l’accezione di “cattivo”. Invidere, o invidiare, vuol dire, dunque, guardare male, con odio e con ostilità.
Il significato del termine rimanda in modo diretto agli aspetti distruttivi di questa emozione che si traducono nel desiderio non solo di eguagliare colui che è percepito come più fortunato, ma anche di danneggiarlo e deprivarlo di ciò che ha. Così, nella Bibbia, Caino, il figlio primogenito di Adamo ed Eva, uccide il fratello Abele perché invidioso della predilezione mostrata da Dio nei confronti di quest’ultimo.
Analogamente, la regina di Biancaneve chiede al guardiaboschi il cuore della fanciulla come prova della sua reale morte e la Bella Addormentata nel bosco è vittima di un incantesimo che, nelle intenzioni della strega invidiosa, dovrebbe portarla a non risvegliarsi più.
D’altra parte, il bisogno di rovinare il godimento dell’altro insito in questa emozione e la condanna sociale che a questo si lega, fa sì, come in un gioco di specchi, che chi invidia abbia sì uno sguardo malevolo sull’altro, ma sia a sua volta malvisto.
Pensiamo a come l’invidia appare agli occhi del poeta Ovidio che, in un passo delle Metamorfosi (lib.2), così la descrive: “orrenda e brutta, decrepita, magra, secca, pallida, livida, con gli occhi torvi, con le labbra gonfie ma smorte e scolorite e con gli denti acuti come di cignale… Oltre le sue bruttezze ha l’occhio torvo perché la natura dell’invidioso è melanconica e trista né ride se non quand’altri piagne e piagne se non quand’altri ride… ma sopra ‘l tutto ha il petto piend di fiele e la lingua cospersa di veleno perché nel cuore non ha la dolcezza di carità e nella lingua non ha se non amarulenza di parlare contro di questo o di quello.“
Dante la considera uno dei sette vizi capitali e colloca gli invidiosi al Purgatorio, descrivendoli come uomini che avanzano sorreggendosi gli uni agli altri a causa delle palpebre cucite con il filo di ferro, dalle quali trapelano le lacrime. Quest’ultima immagine, ci permette di guardare all’invidioso da una prospettiva più complessa e profonda e di andare, per un po’, oltre l’aspetto della distruttività, fino a cogliere il dolore che si cela dietro questa emozione.
L'invidia, così, si umanizza e diventa espressione di un senso di mancanza e di inferiorità che è possibile lenire e curare.