Il linguaggio delle emozioni - Cambiamento con la psicoterapia




Neuroplasticità è una parola composta da due termini: neuro sta per neuroni che sono le cellule del cervello e plasticità sta per modificabilità, flessibilità. Gli studi condotti in questo ambito della ricerca scientifica dimostrano la capacità del cervello di modificare la propria struttura e il proprio funzionamento in risposta all’esperienza mentale e indicano che alcune attività sono in grado di attivare nuove connessioni nervose e perfino nuovi neuroni (Doidge, 2015).
Si tratta di un nuovo paradigma, di una visione completamente diversa da quella che ha dominato gli studi sul cervello fino agli anni Ottanta. La scienza, infatti, per almeno quattro secoli, ha considerato il cervello come immutabile e come paragonabile ad una macchina grandiosa, composta da varie aree con funzioni pre-assegnate.

Il cervello era considerato un mosaico, incapace di alterare la propria struttura e di individuare nuove modalità di funzionamento nel caso in cui una sua parte fosse danneggiata. Una vasta mole di dati clinici, relativi alla neurofisiologia, alla linguistica, allo sviluppo del bambino e alla psicoanalisi, mostrava, in realtà, come questa visione fosse obsoleta e insufficiente a spiegare alcuni fenomeni come la ricostruzione dei ricordi che compiano nel corso della nostra vita, i processi di adattamento e il recupero di funzioni a seguito di un danno cerebrale.
Oggi sappiamo che il cervello è in grado di modificare se stesso e che la plasticità ci accompagna per tutta la vita; grandi miglioramenti nelle funzioni cognitive sono possibili ad ogni età, anche in quella senile purché il cervello sia opportunamente stimolato attraverso nuove esperienze di apprendimento. Michael Merzenich, uno dei protagonisti di spicco delle innovazioni legate alla neuroplasticità, sostiene che l’esercizio di nuove capacità, in condizioni adeguate, può modificare milioni di nuove connessioni neurali nella nostra mappa cerebrale, cioè può cambiare il nostro cervello.
Di seguito, attraverso il modello elaborato da Daniel Siegel, vediamo come, nella quotidianità, possiamo favorire la plasticità cerebrale, attraverso sette semplici e sane attività.

La mindsight

Tutti noi, attraverso gli stimoli giusti, possiamo favorire la plasticità del nostro cervello. Daniel Siegel individua, in particolare, sette attività che “fanno bene alla nostra mente” e che dovrebbero occupare un tempo all’interno della nostra giornata: il tempo dell’interiorità, il tempo del sonno, il tempo della concentrazione, il tempo dell’ozio, il tempo del gioco, il tempo del movimento e il tempo della relazione.
Ognuna delle sette attività, se praticata con continuità, contribuisce a mantenere la nostra mente plastica e allenata poiché è in grado di attivare lo sviluppo di nuove connessione nervose e perfino di nuovi neuroni.
Le attività presentate ruotano attorno alla mindsight, vale a dire alla capacità di vedere e conoscere la mente: mind vuol dire mente e sight significa vista, quindi letteralmente, vista della mente.
La mindsight comprende tre attività principali:
- la prima è la cosiddetta insight, cioè la capacità di vedere e conoscere la propria vita mentale e la nostra identità;
- il secondo aspetto è l’empatia, cioè la capacità di percepire la vita mentale di un’altra persona. L’empatia ci consente di vedere le cose dal punto di vista dell’altro e di immaginare cosa significhi essere nei suoi panni;
- la terza componente è l’integrazione, una capacità che ci consente di promuovere il coordinamento e l’equilibrio del nostro mondo interno e di quello degli altri. Dal punto di vista cerebrale, per integrazione si intende la connessione fra aree corticali e sottocorticali e fra emisfero destro ed emisfero sinistro che, come abbiamo visto, mediano funzioni diverse.
Siegel propone sette attività in grado di mantenere attivo e plastico il nostro cervello.
Di seguito, una breve descrizione di cosa dovremmo quotidianamente fare per coltivare il nostro benessere.

Il tempo dell’interiorità

Cominciamo con il tempo dell’interiorità che Siegel intende come un insieme di attività di riflessione sulla nostra vita interiore, composta di pensieri, sensazioni, emozioni, immagini, desideri, speranze, convinzioni. È stato dimostrato che la focalizzazione sul proprio mondo interno stimola la crescita di numerose fibre del cervello, in particolare di quelle che favoriscono la capacità di regolare l’attenzione, le emozioni e il pensiero. Il tempo dell’interiorità favorisce, inoltre, l’aumento dei livelli di telomerasi, vale a dire un enzima che serve a conservare e a riparare le parti terminali dei cromosomi, i telomeri, prevenendo, in questo modo, l’invecchiamento delle cellule.
Un’ulteriore funzione della focalizzazione sul nostro mondo interno è quella di rafforzare il sistema immunitario e di aumentare la nostra energia che ci permette di affrontare i problemi anziché evitarli.
Un modo per concentrarsi sulla propria interiorità è quello di andare a cercare le nostre sensazioni, i nostri pensieri, le nostre emozioni, dando loro un nome e legandole agli eventi della nostra quotidianità. Un’altra attività efficace è quello di concentrarsi sul nostro respiro e imparare a respirare in maniera profonda.
Si tratta di attività che mantengono giovane il nostro cervello e che ci permettono di essere in contatto con noi stessi migliorando anche le nostre capacità empatiche.

Il tempo del sonno

Parliamo ora del tempo del sonno.
Il sonno è un’altra attività quotidiana che è necessario curare. Riposare bene e per molte ore di seguito favorisce molte importanti funzioni del corpo e della mente: mentre dormiamo, infatti, si verifica il consolidamento della memoria di ciò che abbiamo appreso durante il giorno, l’insulina e il metabolismo funzionano meglio, così come il sistema immunitario. Dopo una buona notte di sonno siamo più attenti e più vigili, la nastra mente è più lucida, siamo più pazienti e disponibili verso gli altri.
Come Siegel mette in evidenza, spesso tendiamo a dormire poco. L’ampio e prolungato uso di schermi digitali fa sì che il nostro cervello sia sommerso, fino a tarda sera, a volte fino a tarda notte, da innumerevoli stimoli visivi che ci fanno restare svegli ben oltre l’ora in cui dovremmo cominciare a riposare. Mediamente, un adulto ha bisogno di dormire dalle sette alle nove ore. Un adolescente, invece, necessita di un tempo superiore, dalle otto ore e mezzo alle nove ore e un quarto per notte. Spesso gli adolescenti, in realtà, vanno a dormire molto tardi la notte proprio perché si attardano in chat e giochi elettronici. Ma, senza un numero adeguato di ore di sonno, i nostri processi cerebrali, fisiologici e mentali non funzionano adeguatamente con delle conseguenze spiacevoli nella vita quotidiana. Se non abbiamo ben riposato, siamo irritabili, abbiamo una sensazione di astenia che ci accompagna per tutto il giorno, la nostra capacità di concentrazione è limitata, siamo più in difficoltà nel controllare e gestire le nostre emozioni e spesso il nostro umore è nero.
Riporto una serie di consigli che Siegel fornisce per favorire un buon riposo notturno. Il primo, anche in ordine di importanza, è quello di spegnere cellulari e apparecchi elettronici almeno un’ora prima di andare a letto in modo da mettere il nostro cervello a riposo. Questi strumenti, infatti, cellulari, computer, televisori, stimolano continuamente il cervello mantenendolo attivo e vigile.
Un altro consiglio è quello di abbassare le luci almeno mezz’ora prima di andare a dormire.
È inoltre importante non lavorare o studiare a letto per non creare associazioni fra il lavorare e il riposare.
Parlando di stimoli attivanti, aggiungerei di evitare la visione la visione di film d’azione che riserverei al fine settimana quando è possibile recuperare il sonno perso la mattina.
La sera bisogna evitare di assumere sostanze eccitanti quali caffè, tè, bibite che contengono caffeina e cioccolato.
È utile, invece, concedersi attività rilassanti che possono conciliare il sonno: fare un bagno caldo, tenere un diario, purché non abbia un effetto attivante e purché sia scritto con carta e penna.
All’elenco fornito da Siegel, aggiungerei una tisana calda o la lettura di un buon libro.
Il tempo della concentrazione
Perché il nostro cervello si mantenga giovane e attivo è necessario dedicare del tempo alla concentrazione. Dobbiamo dirigere l’attenzione su un’attività alla volta in modo continuo evitando distrazioni. Una delle attività privilegiate che richiede concentrazione è l’apprendimento, un’attività che consente la creazione di nuove connessione, cioè di nuove sinapsi, fra le cellule cerebrali, trasformando il cervello stesso. L’apprendimento e la concentrazione che esso richiede, dovrebbero rappresentare un’esperienza permanente nel corso della nostra vita. Siegel, a questo proposito, parla dell’importanza di corsi di educazione permanente per gli adulti che, se smettono di imparare nuove attività, rischiano di sentirsi imprigionati nella routine, in una vita sempre uguale e nella noia. Impegnarsi in attività nuove, al contrario, favorisce lo sviluppo cerebrale e la neuroplasticità.
Il tempo dell’ozio
Se è vero che apprendere e concentrarsi è molto benefico per il nostro cervello, è anche vero che la nostra mente ha bisogno di momenti in cui non è impegnata a fare qualcosa. Per tempo dell’ozio, si intendono quei momenti in cui intenzionalmente non facciamo niente e non dobbiamo fare niente. Concedersi questo tempo, decongestiona la nostra mente, spesso intasata di stimoli, preoccupazioni, scadenze, impegni da incastrare. È incredibile come, ad ogni vacanza, dopo qualche giorno di dolce far niente, io scopra all’improvviso, come fossero attimi di illuminazione, nuove soluzioni a problemi o scomodità che mi sono portata dietro per mesi, senza riuscire a vedere opzioni valide. Questi insight sono la conseguenza dell’ozio attraverso il quale diamo tregua al nostro cervello. Possiamo farlo sia durante le vacanze sia durante le nostre giornate, spesso frenetiche e sovraffollate di impegni e doveri. Può trattarsi di poche manciate di minuti al giorni, purché la cosa sia intenzionale. Bisogna, infatti, distinguere l’ozio dai momenti di deconcentrazione non voluti che possiamo avere, al di là delle nostre intenzioni, durante lo studio o durante il lavoro. Si tratta di due situazioni molto diverse: l’ozio ci lascia tranquilli, la deconcentrazione crea frustrazione perché può compromettere il raggiungimento di un risultato che ci siamo prefissati di portare a termine.

Il tempo del gioco

Siamo abituati a pensare al gioco come ad un’occupazione alla quale possono dedicarsi esclusivamente i bambini. Ciò che le neuroscienze ci dicono, invece, è che la spontaneità e il divertimento rappresentano stimoli preziosi per la crescita cerebrale ad ogni età!
Se ci concediamo del tempo per svolgere attività senza regole rigide né giudizi, senza competizione e all’insegna dell’esplorazione spontanea, ci sentiremo meglio e permetteremo al nostro pensiero creativo di emergere. Credo che come adulti dovremmo ricordarci di concederci del tempo per divertirci e per ridere, dandoci un limite, ad esempio, rispetto al lavoro che svolgiamo e facendo in modo che le numerose responsabilità quotidiane non divengano delle insopportabili e monotone routine. Per quanto riguarda i bambini e gli adolescenti, credo che dovremmo lasciarli giocare un po’ di più. Spesso le loro giornate sono scandite da attività molto strutturate e tutte finalizzate all’apprendimento di abilità che li attrezzino per il futuro. Il tempo per giocare davvero e per giocare liberamente è spesso davvero ridotto. Come osserva Siegel, l’approccio abituale della scuola, a partire da quella primaria, è quello di imprigionare la creatività, l’esplorazione e il pensiero divergente entro gli angusti confini delle verifiche, dei compiti in classe e delle interrogazioni.
Molto poco spazio è lasciato alla possibilità di imparare giocando, esercitando, cioè, il pensiero creativo, in un clima in cui, anziché la mortificante competizione, regni la libertà di esplorare il sapere, il pensiero proprio e quello degli altri, senza la spada di Damocle del giudizio e della valutazione.

Il tempo del movimento

Muoverci, praticare attività fisica fa bene non solo al nostro corpo ma anche al nostro cervello, dal momento che migliora la plasticità cerebrale: favorisce la memoria, rafforza le connessioni neurali e ne favorisce di nuove. Qualsiasi attività fisica produce grandi giovamenti alla salute del corpo, alla mente e agisce in modo molto benefico sull’umore.
Oggi sappiamo anche che un’attività semplice e naturale come il camminare è in grado di produrre nuove cellule nell’ippocampo, quella regione cerebrale che, come abbiamo visto, svolge un ruolo chiave nel trasformare la memoria a breve termine in memoria a lungo termine (Doidge, 2015).
A qualunque età, dovremmo ricordarci di muovere il nostro corpo, anche semplicemente camminando, ogni giorno per mantenere in forma il nostro corpo e il nostro cervello.
Il tempo della relazione
Come abbiamo avuto modo di vedere in diverse parti del libro, stare in relazione con gli altri, stabilendo rapporti autentici e profondi, è un aspetto centrale del benessere di ognuno di noi. Come Siegel afferma, essere in grado di entrare in sintonia con gli altri, fa bene al nostro cervello e alla nostra salute. Se stiamo in relazione, viviamo meglio. Quando riusciamo a cogliere il bello negli altri, ad aprirci e quando siamo disponibili ad accogliere l’apertura degli altri, il nostro umore migliora. Credo che le buone relazioni con gli altri costituiscano dei pezzetti davvero significativi dell’oggetto buono e rappresentino delle risorse irrinunciabili nella vita di ognuno di noi.
Anche il contatto con la natura rappresenta una forma di relazione che è importante coltivare ai fini del nostro benessere. Non c’è bisogno di panorami mozzafiato o spettacoli grandiosi della natura per provare sensazioni piacevoli e di armonia. A volte basta un tramonto, perfino un tramonto cittadino o il buio di un secco paesaggio invernale per ricordarci che siamo parte di un tutto, dotato di un senso.

Esercitazione

Nella tabella che segue, riporto le sette attività proposte da Siegel. Suggerisco al lettore di indicare quanto tempo, per ogni giorno della settimana, dedica ad ognuna delle attività e, in base alle risposte fornite, di valutare quali cambiamenti può apportare alla propria quotidianità in modo da aumentare il benessere e la plasticità cerebrale.

Attività
Lunedi
Martedì
Mercoledì
Giovedì
Venerdì
Sabato
Domenica
Tempo per l’interiorità







Tempo per il sonno







Tempo per la concentrazione







Tempo per l’ozio







Tempo per il gioco







Tempo per il movimento







Tempo per la relazione








B. Piermartini. Il linguaggio delle emozioni. Milano: FrancoAngeli

Per approfondire

Clarkin, J., Yeomans, F. E., Kernberg, O. F. (2011). Psicoterapia psicodinamica dei disturbi di personalità: un approccio basato sulle relazioni oggettuali. Roma: Giovanni Fioriti.

Doidge, N. (2007). Il cervello infinito. Milano: Ponte alle Grazie.

Doidge, N. (2015). Le guarigioni del cervello. Milano: Ponte alle Grazie.

Etkin, A., Pittenger, C., Polan, H. J., Kande, E. R. Toward a neurobiology of psychotherapy: Basic science and clinical applications. Journal of Neuropsychiatry and Clinical Neurosciences, 17, pp.145-158.

Kafka, F. (1991). Lettera al padre. Milano: Feltrinelli.

Kandel, E. R. (2017). Alla ricerca della memoria. Torino: Codice.

Siegel, D. (2014). La mente adolescente. Milano: Raffaello Cortina.