Emozioni e cervello
Più di tutto sono stato un essere
senziente, un animale pensante, su questo pianeta bellissimo, il che ha
rappresentato di per sé un immenso privilegio e una grandissima avventura.
(Oliver Sacks, “Gratitudine”, 2015)
I circuiti neurali delle emozioni
Un
primo passo verso il contatto con le nostre emozioni è rappresentato dalla
conoscenza di come questa complessa realtà funziona.
Vediamo
quali sono le aree cerebrali implicate nella nascita di un’emozione.
Il neuroscienziato Paul MacLean, per
descrivere l’articolata struttura cerebrale dell’uomo, ha coniato l’espressione
“cervello trino” e ha parlato di un “cervello con un cervello all’interno di un
cervello” (1985, p.8), organizzato in tre sezioni separate ma interconnesse:
una parte profonda, il tronco cerebrale,
detta anche cervello rettiliano, una
parte intermedia, il sistema limbico
o mammaliano e una parte superiore,
la corteccia, chiamata anche neocorteccia o neocervello.
Ciascun livello
del cervello attua una comprensione dell’ambiente e fornisce specifiche
risposte. Anche se un particolare livello può, in determinate circostanze,
diventare dominante e sovrastare gli altri, a seconda delle condizioni interne
e ambientali, le tre sezioni sono mutualmente dipendenti ed interconnesse.
Vediamo quali
sono le funzioni delle tre sezioni.
Le aree del tronco cerebrale sono le più primitive,
sono cioè quelle che da un punto di vista evolutivo, si sono sviluppate per
prime e corrispondono a quello che viene definito “cervello rettiliano”. Si
trovano alla base del cranio, ricevono gli input dal corpo e reinviano altri
input per regolare i processi di base come il funzionamento del cuore, dei
polmoni e la temperatura corporea. Controllano se abbiamo fame, se abbiamo
sete, se siamo sessualmente appagati e se siamo svegli o assonnati.
Le aree del sistema limbico o cervello paleomammaliano sono presenti in tutti i mammiferi,
circondano il cervello rettiliano e mediano i processi emotivi, la memoria,
l’apprendimento e alcuni comportamenti sociali. Le aree limbiche svolgono anche
un ruolo cruciale nella formazione dei legami affettivi e del sistema
dell’attaccamento.
Se prendiamo in considerazione
gli stati emotivi, essi sono riempiti di significato proprio perché le aree
limbiche effettuano una valutazione delle situazione: “Si tratta di qualcosa di positivo o di negativo?” Poiché noi siamo
spinti verso ciò che è positivo e a mantenerci a distanza da ciò che è
negativo, la valutazione fornita dalle aree limbiche contribuisce ad orientare
il nostro comportamento, creando quelle e-mozioni
che ci motivano ad agire in risposta al significato che attribuiamo a qualsiasi
evento si stia verificando nel nostro campo di esperienza.
È importante
specificare che le risposte emotive non sono appannaggio esclusivo delle aree
limbiche: le ricerche neuroscientifiche dell’ultimo decennio mostrano, infatti,
come le reti sociali responsabili delle esperienze emozionali e sociali
sarebbero presenti in tutto il cervello. In particolare, il neuroscienziato Joseph
LeDoux (2016), ha sottolineato come il sistema limbico sia stato per molto
tempo erroneamente considerato “la sede” delle emozioni o una sorta di elaboratore
emotivo, in una visione “reificata” del cervello.
La neocorteccia o neocervello rappresenta la parte più esterna del cervello. Viene
chiamata “cervello neomammifero” o neocorteccia perché ha subito una grande
espansione a partire dalla comparsa dei primati e in particolare dalla comparsa
degli esseri umani.
I processi
neocorticali, in particolare quelli mediati dalle zone frontali, ci consentono
di pensare, di ragionare in modo flessibile, valutare le situazioni, prendere
decisioni ponderate, pianificare, formulare idee ed esprimerle attraverso le
parole. La corteccia è, in altre parole, l’area del cervello che media il
pensiero astratto e che ci consente di essere consapevoli di sé e degli altri.
Sebbene le
funzioni corticali siano le più complesse, diversi studi mostrano come il
ragionamento e la riflessione siano profondamente influenzati dai processi
emozionali e somatici. I nostri stati affettivi e gli stati del nostro
organismo, mediati rispettivamente dalle aree limbiche e dal tronco cerebrale,
interagiscono con i nostri processi di pensiero più complessi ed elaborati.
Tutti noi abbiamo fatto l’esperienza di non riuscire a pensare con lucidità
quando siamo febbricitanti o quando un evento ci ha particolarmente attivati
dal punto di vista emotivo. Allo stesso modo, può capitarci di avvertire una
certa labilità emotiva dopo una o due notti passate in bianco o di faticare a
ragionare e a rimanere concentrati.
Vista la profonda
interconnessione fra le diverse aree cerebrali, la struttura “trina”, va
considerata come un’utile metafora che consente di cogliere come l’elaborazione
delle informazioni avvenga su livelli diversi attraverso complessi processi
integrativi che lavorano sinergicamente.
Vediamo ora il
ruolo di queste tre aree e il modo in cui interagiscono nella risposta emotiva,
soffermandoci in particolar modo sulle funzioni di una specifica area limbica,
l’amigdala.
I due circuiti dell’amigdala
L’amigdala
ha un ruolo fondamentale in emozioni come la rabbia e la paura. Le informazioni
possono essere inviate a questa area della regione limbica attraverso due vie. Come
gli studi di LeDoux hanno dimostrato, le informazioni giungono all’amigdala
attraverso due vie: esiste una via “alta”, in cui la corteccia cerebrale passa
al vaglio e analizza le informazioni, producendo una riflessione accurata e una
risposta che viene poi inviata all’amigdala; c’è, tuttavia, una seconda via,
quella “bassa” che elude la corteccia e invia direttamente all’amigdala gli
stimoli percettivi in arrivo. Si tratta di una via rapida che ha avuto una
funzione adattiva molto importante nel corso della storia dell’uomo. È la via
che salva la vita, dal momento che ci permette, in tempo reale, di scappare o
spostarci di fronte ad uno stimolo pericoloso o minaccioso. La prontezza con la
quale riusciamo a spostarci dalla strada quando sentiamo un’auto sopraggiungere
a tutta velocità, ci permette di metterci in salvo. In questo caso, è
funzionale che lo stimolo rappresentato dal rumore della macchina sia
rapidamente processato dall’amigdala perché, nel tempo che impiegheremmo per
analizzare attentamente ciò che sta accadendo o potrebbe accadere attraverso
processi corticali superiori, potremmo essere investiti.
La
velocità con cui scappiamo di fronte ad un pericolo ci permette di metterci in
salvo.
Per
rendere meglio questo concetto, farò riferimento ad un recente episodio vissuto
personalmente.
Nell’
estate del 2017 ho trascorso due settimane di vacanza in una casetta di
campagna che si trova in mezzo ai campi di grano, a 12 Km di distanza dal primo
centro abitato. Quando dormo lì, se mi sveglio durante la notte, di solito vado
alla finestra e, se sono fortunata, mi godo le luci meravigliose dell’alba e il
sole che si alza dalle colline gialle di stoppie. In una di queste notti,
quello che mi sono trovata di fronte è stata una spaventosa montagna di fuoco:
l’imponente deposito di fieno che si trovava a circa 200 metri dalla nostra
proprietà stava bruciando! Non so neanche dire che cosa io abbia provato quando
ho scostata la tenda della finestra. Ora posso dire che mi sono trovata di
fronte ad una scena apocalittica o ad un disastro che ha messo in ginocchio
diverse famiglie il cui unico sostentamento era rappresentato dalla raccolta e
dalla vendita del fieno. Ma lì per lì, ho solo detto a mio marito: “C’è un
incendio, dobbiamo andarcene!” Ho appena fatto in tempo a recuperare il
computer, la borsa e qualche immancabile libro, poi siamo saliti in macchina e
siamo scappati…
In
pochi attimi, dal momento in cui lo stimolo visivo rappresentato dal fuoco ha
raggiunto il mio cervello, il mio corpo si è attivato per la messa in salvo
della mia famiglia. La percezione della montagna di fuoco ha attivato la mia
amigdala, che come una sentinella, ha dato l’allarme al resto del cervello e
del corpo, in maniera tale che prontamente io reagissi al pericolo. Il fatto
che la scena fosse drammatica e che quel fuoco rappresentasse un disastro per
le famiglie che vivevano di quel fieno, è un significato che in seguito,
attraverso l’elaborazione corticale dello stimolo, ho potuto dare all’episodio.
Ma nel momento in cui al mio cervello è arrivato uno stimolo immediatamente valutato
come molto pericoloso, il mio processo di simbolizzazione, cioè di pensiero
complesso che assegna un senso a ciò che percepisco, è stato completamente
disattivato. Grazie all’attivazione del mio sistema di allarme e grazie al
fatto che lo stimolo è stato processato prima dall’amigdala e solo in un
secondo momento dalla corteccia, ho potuto prendere l’essenziale e scappare!
In
altre parole, la via “rapida” o “veloce” è stata salvifica. Dobbiamo tener
presente, però, che il circuito breve porta solo una piccola parte dei messaggi
sensoriali, mentre la maggior parte di essi viene inviata alla neocorteccia. Il
segnale processato direttamente dall’amigdala è approssimativo e immediato,
quello processato dalla corteccia è più elaborato e raffinato. Grazie all’elaborazione
corticale diventiamo capaci di riflettere, siamo in grado di tenere in
considerazione il contesto, il nostro punto di vista e quello degli altri. La
risposta amigdaloidea è all’origine di risposte intense, reazioni impulsive, risposte rigide e ripetitive ogni volta che
rintraccia un segnale di pericolo e anche quando lo stimolo non è così
grave da rappresentare una vera e propria minaccia. Ad esempio, quando entriamo
fortemente in ansia per situazioni che potrebbero non verificarsi mai, è
possibile che stiamo estromettendo il nostro pensiero e la nostra capacità
corticale di riflettere. Se il circuito amigdaloideo è stato altamente
funzionale quando l’uomo era costantemente minacciato da belve feroci, da
esplosioni vulcaniche e terremoti, oggi, vista la diffusione dei disturbi
legati all’ansia, tendiamo a vivere come se accadessero frequentemente
catastrofi naturali, ma attenzione, dentro di noi!!! Così, l’imminenza di un
esame universitario, può essere percepito internamente come un evento
catastrofico, al quale molti studenti agiscono con notevole ansia che, di
fatto, ostacola la capacità di continuare a pensare, di concentrarsi e di
essere attivi nella risoluzione delle difficoltà incontrate. Analogamente, può
succederci di infuriarci con qualcuno, per poi, subito dopo, pentirci della
nostra reazione che, a mente fredda, possiamo valutare come eccessiva.
Quando
scatta l’allarme della paura, l’amigdala invia una serie di messaggi a tutte le
parti dell’encefalo che preparano il corpo alla reazione: stimola la secrezione
degli ormoni che innescano la reazione di attacco/fuga o freezing , attiva il sistema cardiovascolare, i muscoli e
l’intestino. Altri circuiti che originano dall’amigdala segnalano l’ordine di
secernere la noradrenalina, un ormone che aumenta la reattività di alcune aree
del cervello, utili nella risposta di combattimento o fuga. Al contempo, altri
segnali attirano l’attenzione su ciò che ha scatenato la paura e preparano la
muscolatura a reagire in modo appropriato. Il vantaggio evolutivo di questo
tipo di organizzazione sta nel fatto che le situazioni di pericolo spesso non
lasciano il tempo di riflettere. La strutturazione stessa del sistema emotivo
fa sì che esso entri in azione prima ancora che sia possibile una valutazione
consapevole e cognitiva della portata dello stimolo. L’amigdala fa sì che il
corpo e la mente siano pronti dunque a fronteggiare un allarme che, tuttavia,
il più delle volte, è solo una percezione personale, dovuta alla storia
dell’individuo e alla memoria emotiva degli eventi custodita dall’amigdala,
spesso al di fuori della consapevolezza. In quanto archivio della memoria
emozionale, infatti, l’amigdala analizza le esperienze e gli stimoli operando
un confronto fra ciò che accade nel presente e ciò che è accaduto in passato.
Il metodo di confronto che usa è “associativo”, pertanto è sufficiente che
nella situazione presente vi sia un elemento che richiama la memoria passata,
perché l’amigdala si attivi e dichiari lo stato di emergenza. Il processo
appena descritto si attiva tutte le volte in cui abbiamo un’esplosione emotiva,
al termine della quale, quando ripensiamo a quanto è accaduto e a come abbiamo
reagito, tutto ci sembra esagerato e ci è difficile rintracciare le ragione di
tanto allarme.
Eventi
del presente possono richiamare, innescando reazione di allarme, memorie che
non siamo in grado di descrivere con le parole, perché appartenenti ad epoche
della vita così arcaiche da non poter essere ricordate attraverso le parole ma
solo nel corpo o memorie traumatiche rimaste prive di elaborazione.
B. Piermartini (2018). Il linguaggio delle emozioni. Milano: FrancoAngeli.