Nei diversi approcci
psicoterapeutici c’è accordo unanime rispetto alla necessità di acquisire,
attraverso un percorso psicoterapeutico, la capacità di gestire il proprio
mondo emotivo. Questo vuol dire che, attraverso il lavoro psicologico, è
possibile regolare le proprie emozioni, modulandone l’intensità e aumentando il
tempo di permanenza nei vissuti positivi.
Spesso abbiamo la sensazione di
essere sopraffatti dalle nostre emozioni e di essere in preda all’ansia,
all’angoscia, alla paura o ad una rabbia incontenibili. Diventa allora molto
importante non sentirsi sprovvisti di risorse e reagire al senso di
disperazione attingendo a tutto ciò che di buono c’è in noi e nella nostra vita.
Si deve a Melanie Klein
l’introduzione, nel pensiero psicoanalitico, della metafora dell’ oggetto buono, fondamento della
sicurezza e della serenità interiori. L’oggetto buono “ama e protegge il Sé e
viene amato e protetto dal Sé” (Klein, 1969, p. 31). È la base della fiducia in
se stessi e negli altri, da cui nascono la capacità di godere, di vivere
creativamente, di provare soddisfazione e gratitudine per ciò che si è
ricevuto.
Ed è proprio quando siamo in difficoltà e rischiamo di
cedere al pessimismo e alla disperazione, che diventa utile poter attingere ad
un bagaglio interno, in grado di restituirci una visione più realistica e
veritiera delle cose. Quasi mai, infatti, gli eventi ai quali reagiamo con un
senso di catastrofe interna sono problemi non risolvibili e tali da cancellare
ogni speranza di godimento e di gioia. Spesso il nostro vissuto è, infatti,
amplificato dai pensieri assoluti e drammatici che tendiamo a fare in rapporto
agli eventi.
Richiamare l’oggetto buono significa pensare positivamente
e recuperare la sensazione di poter gestire gli eventi della nostra vita, anche
se sono negativi. Succede spesso che “lasciamo andare” la percezione degli
aspetti positivi di noi e della nostra vita per dare maggior rilievo a ciò che
non va. Questo è un modo per aumentare il senso di insoddisfazione e per
contattare un doloroso senso di fallimento.
I maggiori livelli di sofferenza che possiamo
sperimentare sono legati allo svanire della sensazione di avere “cose buone
dentro” e di essere dominati dall’odio e dall’aggressività. E’ questo ciò che
più ci spaventa e dal quale cerchiamo in molti modi di “fuggire”, mettendo in
atto strategie di autoregolazione emotiva più o meno efficaci. A volte, “per non sentire ciò che sentiamo”,
proviamo a distrarci ascoltando della buona musica, leggendo un buon libro,
vedendo un film, oppure cercando il rassicurante contatto con un amico… ma ci
sono momenti in cui questi metodi non funzionano e il livello di disregolazione
raggiunto è così elevato da impedire di vedere soluzioni valide. Diventa allora
necessario un lavoro di costruzione,
attuato attraverso la relazione terapeutica, di un oggetto interno buono, risorsa inesauribile e costante di
autorassicurazione e serenità.
Lavorare alla costruzione o al consolidamento dell’oggetto
interno buono vuol dire, tuttavia, rinunciare all’idea che siano la realtà
esterna o “gli altri” i responsabili della nostra infelicità e tristezza; significa
assumersi la responsabilità della nostra vita e correre i rischio di cambiare,
trovando se stessi.