Comprendere le emozioni

Propongo ai lettori una breve riflessione sull'importanza di comprendere le emozioni proprie e degli altri e un esercizio di "contatto emotivo" che può essere svolto individualmente o in piccoli gruppi.


Foto di Gino Loperfido


Essere rispettoso dei sentimenti altrui,
in modo autentico,
significa mettersi nei panni degli altri: ”identificarsi con gli altri”.
Ora, questa capacità di immedesimazione
è uno degli elementi più importanti nei rapporti umani in generale,
ed è anche una condizione per dei sentimenti d’amore reali e forti.

(Melanie  Klein, Joan Riviere, “Amore, odio e riparazione”, 1969)


La capacità di capire le proprie emozioni e quelle degli altri è un aspetto fondamentale del nostro benessere quotidiano. Se cogliamo ciò che stiamo provando, diventa più facile per noi orientarci nella realtà: se, ad esempio, sappiamo che la vista di un film d’orrore provoca in noi una paura pervasiva che ci accompagnerà per giorni e diamo credito a ciò che sentiamo, saremo in grado di evitare questa esperienza e di dire di no ad un amico che ci propone esperienze di questo genere.
Le emozioni, se ascoltate, diventano delle guide interne che ci permettono di andare incontro ad esperienze che sentiamo benefiche per noi e di tenerci a debita distanza da ciò che ha poco a che fare con i nostri bisogni e le nostre inclinazioni.
Al contrario, quando non siamo in contatto con ciò che proviamo, perdiamo delle “bussole interne” che ci indicano se stiamo andando nella direzione giusta.
D’altra parte, anche la capacità di capire le emozioni degli altri è un aspetto centrale del nostro adattamento e del nostro benessere. Se, nel corso di un’interazione, siamo in contatto con ciò che l’altra persona prova, stiamo dando il nostro contributo perché abbia luogo uno scambio positivo.
L’esperienza di non comprendere l’altro, così come quella di non essere compresi, dà luogo a vissuti di grande spiacevolezza o a scambi di poco significato. Parlare con chi non ci capisce produce la sensazione di parlare contro il muro; il messaggio che inviamo, nel corso di una conversazione di questo genere, rimane a noi o torna a noi senza alcuna aggiunta da parte dell’altro. Si tratta di una sensazione frustrante che ci lascia in genere insoddisfatti.
Tutt’altra cosa è, invece, il gusto che deriva da momenti di comprensione reciproca, quando si entra in una vicinanza intima, di tipo emotivo, ci si lascia andare, ci si fa vedere e si ha la disponibilità a vedere l’altro. Sono queste situazioni che ci rimangono dentro e che ci regalano una gioia e un’energia che possono derivare solo dal contatto umano, quando è profondo e coinvolge “il sentire”.


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Foto di Andrea Natali
Esercitazione: accorgersi di ciò che si prova e dargli un nome

Lo scopo di questo esercizio è quello di favorire un allenamento della capacità di dare un nome a ciò che sentiamo. Nella storia dell’uomo, il dare un nome alle cose, ai fenomeni, ha rappresentato un passo evolutivo fondamentale. “Nominare” è una necessità primitiva dell’essere umano; ciò che è noto, ciò che è nominato fa meno paura di ciò che non conosciamo affatto.

Ripensa all’ultima giornata trascorsa
·      Chiudi gli occhi e torna lì
·      Soffermati su un momento che colpisce di più la tua attenzione
·      È piacevole o spiacevole?
·      Domandati cosa hai provato in quel momento, facendo riferimento alle emozioni di base: rabbia, paura, tristezza, gioia, disgusto, sorpresa…
·      Dai un nome a ciò che hai sentito
·      Ascolta anche i pensieri che hai fatto e le sensazioni corporee che hai provato
·      Quale significato puoi dare a ciò che hai provato e a ciò che hai pensato?
·      Quali informazioni ti danno sulla situazione che hai vissuto i segnali che provengono dal tuo mondo interno (emozioni, sensazioni, pensieri)?
·      Che ti dicono del rapporto fra te e quella situazione?


B. Piermartini (2018). Il linguaggio delle emozioni. Milano: FrancoAngeli